0mo da sé vertù fatto ha lontana;
omo no, mala bestia ch'om simiglia.
O Deo, qual maravigliavoler cadere in servo di signore,
o ver di vita in morte!
Vertute, al suo fattor sempre sottana,
lui obedisce e lui acquista onoredonne tanto che Amore
la segna d'eccellente sua famigliane la beata corte:
lietamente esce da le belle porte,
a la sua donna torna;
lieta va e soggiorna,
lietamente ovra suo gran vassallaggio;
per lo corto viaggioconserva, adorna, accresce ciò che trova;
Morte repugna sì, che lei non cura.
O cara ancella e pura,
colt'hai nel ciel misura;
tu sola fai segnore, e quest'è provache tu se' possession che sempre giova.
Strofe terza. Chi si scosta dalla virtù che è serva della Sapienza si fa servo non di un signore, ma di un vile servo, cioè dell'errore intellettuale per il quale gli occhi della mente sono chiusi e quindi deve andar dietro a colui (il Papa) che adocchia pur follia, che segue e guarda all'errore.
Servo non di signor, ma di vil servosi fa chi da cotal serva si scosta.
Vedete quanto costa,
se ragionate l'uno e l'altro danno,
a chi da lei si svia:
questo servo signor tant'è protervo,
che gli occhi ch'a la mente lume fannochiusi per lui si stanno,
sì che gir ne convene a colui posta,
ch'adocchia pur follia.
Ma perché lo meo dire util vi sia,
discenderò del tuttoin parte ed in costrutto
più lieve, sì che men grave s'intenda;
ché rado sotto bendaparola oscura giugne ad intelletto...
Dopo queste parole nelle quali si dichiara apertamente l'esistenza di una benda nelle parole precedenti (la quale benda, si noti, non esisterebbe affatto se la poesia parlasse veramente delle donne e della loro bellezza e non volesse dire altro che quello che è chiaro nel senso letterale), il poeta discende, come si è proposto, a parlare apertamente dell'avarizia degli uomini e dei loro bassi amori, concludendo ancora una volta che la donna (l'adepto) cui pare esser bella (che crede di possedere la Sapienza) non cerchi l'amore degli uomini che sono così corrotti.
| |
Deo Amore Sapienza Papa Sapienza
|