XIII. La «Divina Commedia»
e i «Fedeli d'Amore»
1. L'erompere della «Divina Commedia» dall'ambiente settarioNella canzone: Amor da che convien, abbiamo potuto seguire il nuovo atteggiamento di Dante. Egli ha un grande amore che lo affascina, quello per la «Sapienza santa» e una «rea» che lo perseguita: la Chiesa corrotta. Vuole parlare del suo amore per la prima in modo che la seconda non possa udire. Ma nello stesso tempo egli vuole ritrovare nella Chiesa, come del resto ha sempre proclamato, quello che c'è in essa di puro e di santo. Pure odiandola nella sua corruzione vuole riguardarla «colà dov'ella è vera», nella speranza di poterle rendere poi, come ha detto altrove, «con amor pace». Ma egli sente evidentemente di avvicinarsi alla Chiesa Cattolica assai più caldamente di quanto non facessero i suoi correligionari, i quali, vedendolo così riavvicinarsi alla «Morte», lo crederanno «morto», uomo della Chiesa corrotta, mentre allo stesso tempo egli sarà odiato dalla Chiesa.
Non importa. Egli è preso dalla sua verità. Ancora una volta egli, pur sorgendo col suo pensiero dall'ambiente settario, si è fatto «parte da se stesso». La dottrina segreta della Divina Commedia, pur ritenendo molto di quella dei «Fedeli d'Amore», pur ricollegandosi secondo Dante perfettamente al suo amore giovanile per la Sapienza santa, ha una potentissima originalità. In essa infatti trova posto «la sua Beatrice», ma un adepto gli rimprovererà di averla trasformata, di non aver riconosciuto in essa «l'unica Fenice che con Sion congiunse l'Appenino» e altri lo rimprovereranno di «poca fede»! In verità questa Beatrice è sua, è la Sapienza santa in quella speciale determinazione che assume nella dottrina segreta della Divina Commedia, la dottrina segreta della Croce e dell'Aquila.
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