Così egli poté relegare tra gli eretici Federico II, amore-odio dei settari, che aveva talvolta favorito, talvolta tradito la setta, e giudicare che la sua usurpazione dei diritti della Croce e della Fede andasse di là dall'affermazione dei diritti dell'Aquila e porlo con gli estremisti ghibellini in Inferno. E a questa sua condanna di Federico II fanno riscontro alcune cose molto interessanti della Divina Commedia, come il perfetto silenzio tenuto da Dante intorno ai Catari, agli Albigesi, alla strage degli Albigesi, la giustificazione di San Domenico che «negli sterpi eretici percosse» e che aveva percosso eretici che Dante stesso condannava.
E accanto a tutto questo è particolarmente interessante l'atteggiamento di Dante verso i «Fedeli d'Amore»; e anzitutto il rimpianto angoscioso e fraterno per la deviazione di Guido Cavalcanti che non mira più a Giovanna e con ciò ha avuto a disdegno Beatrice, la virtù della Croce, cui Dante è condotto e che perciò è spiritualmente morto e, benché sia congiunto coi vivi, «non fere agli occhi suoi lo dolce lome» della verità; poi l'atteggiamento devoto e filiale verso Guido Guinizelli «Padre dei Fedeli d'Amore», il riconoscimento della nuova potenza animatrice che la dottrina d'amore aveva dato all'arte di coloro che a essa si ispiravano seguendola direttamente e con intenso fervore cantando col dolce stil novo.
E si comprende anche un'altra cosa, cioè lo strale lanciato contro Guittone d'Arezzo ch'egli vuole completamente svalutare, perché, come abbiamo visto, non è un «Fedele d'Amore» e ha scritto senza alcuna profondità mistica e dottrinale.
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