Ma in quella frase «ignorantiae sectatores» c'è qualche cosa di molto profondo. Se Dante avesse voluto dire semplicemente «gli ignoranti», come sarebbe stato naturale, non avrebbe usato quella strana espressione di «ignorantiae sectatores». Ma Dante com'è probabile ha voluto tacitamente contrapporre i poeti guittoniani non mistici ai poeti dell'amore mistico, e poiché questi erano in verità «sapientiae sectatores», ha voluto contrapporre a essi schernevolmente, i seguaci dei poeti d'amore piatti e che rimavano stoltamente «o non avendo alcuno ragionamento in loro di quello che dicono», chiamandoli «ignorantiae sectatores».
Da quanto ho detto sopra del vero contenuto della Divina Commedia, si comprende anche perfettamente come Dante considerasse la mistica ascensione del Poema Sacro come ritorno alla sua beatitudine, alla sua Beatrice che era per lui la Sapienza santa amata nei primi anni, che ora lo portava veramente a trascendere di là della vita in quella contemplazione che è morte al mondo, soltanto che ora quella divina Beatrice aveva accanto a sé una compagna sconosciuta alla Vita Nuova cioè Lucia, la personificazione della santa virtù dell'Aquila.
Ma Dante con felicissima drammaticità continuò nella Divina Commedia il racconto pseudo-realistico della morte di Beatrice, che doveva anche meglio velare in un dramma individuale il grande dramma dello spirito che torna alla divina Sapienza dopo sviamenti ed errori, torna dopo dieci anni (che sono in realtà i dieci secoli nei quali l'uomo è stato traviato per la mancanza dell'Aquila a Roma) e vede quale dovrebbe essere il carro santo della Chiesa fatto per portare Beatrice e qual è, sfondato da Satana e portante una meretrice.
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