E non c'è da meravigliarsi se, volendo servirsi di questo velo nel dramma individuale per coprire il dramma mistico, egli abbia posto in bocca a Beatrice parole ricordanti le sue «belle membra» e il suo «corpo sepolto».
Ho ricordato come già il Buti stesso intendesse per quelle «belle membra» di Beatrice le «scritture» lasciate in terra, scritture, si può aggiungere ora, che tra le mani della Chiesa corrotta erano state usate a opera di corruzione, come il corpo esterno della Sapienza santa che era sepolto, che era diventato morte nella corruzione della dottrina. Lo spirito vero del Cattolicismo, però, l'anima, era immortalmente vivo e offerto all'amore dei fedeli e si chiamava Beatrice. Il rimprovero di Beatrice, secondo il quale Dante in seguito alla morte di lei, al corrompersi delle sue belle membra, avrebbe dovuto più che mai ardentemente seguire la sua anima immortale, cioè lo spirito immortale delle scritture, è rivolto all'umanità tutta ed è rimprovero di non aver religiosamente seguìto lo spirito della rivelazione e della Divina Sapienza quando si vedeva che l'apparato esterno di essa, la dottrina della Chiesa, involucro temporaneo e fittizio della divina Sapienza (le membra) si corrompeva nella «Morte», s'irrigidiva nella «Pietra».
Ma un'altra cosa si deve notare che ha per la storia della poesia italiana e dell'arte umana un'enorme importanza. Per nostra incommensurabile fortuna, Dante, nella Divina Commedia, non si affermò come originale soltanto nella dottrina; egli abbandonò anche il «modo usato» di dissimularla e di esprimerla.
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