Ma questo avviene nel giallo della «Rosa sempiterna» simbolo che veniva a Dante dalla tradizione eterodossa e iniziatica.
Era, mirabilmente raffigurata, quella mistica Rosa che i poeti avevano in così diverse forme esaltato contrapponendola alla Chiesa corrotta, alla Babilonia odiata, «Fiore» contro «Pietra», come vera dottrina della verità, vera visione e contemplazione di Dio. La Chiesa che tutto seppe incamerare e che già aveva simboleggiato talora nella rosa Maria o il Cristo, incamerò anche la «Mistica Rosa» e ne fece definitivamente un attributo della Vergine. Nel secolo XIV furono composte le litanie lauretane e si ritrovò ormai fissato per sempre tra gli attributi della Vergine quello di «Mystica Rosa»! E oggi nelle nostre chiesette di campagna, odorate dalle rose di maggio, le donne ignare del nostro popolo ancora dolcemente chiamano e invocano «Rosa Mystica» e «non sanno che si chiamare»!
Ma intanto, in un'altra corrente di misticismo più o meno segreto, rimane viva una formula che, se non storicamente, certo per la spirituale analogia, si ricollega in parte al pensiero della Divina Commedia. La formula dei Rosacruciani riassumente il processo d'innalzamento attraverso il dolore e attraverso la fede fino alla verità santa, contemplazione di Dio, suona com'è noto: Per Crucem ad Rosam.
L'idea se non la formula, è tutt'altro che estranea ai «Fedeli d'Amore». Abbiamo visto nella figura rivelatrice di Francesco da Barberino i «Fedeli d'Amore» che nei primi gradi, della scienza faticosa e della prova dolorosa, son trafitti dai dardi d'Amore, negli ultimi, nella conquista gioiosa, hanno in mano le rose, quelle stesse rose che Amore tiene in fascio nelle sue mani come promessa di conoscenza beatificante(589).
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