Nella seconda parte s'accusa Dante d'avere testimoniato in modo falso e bugiardo intorno a chi sia presso o lunge dal dimonio, cioè intorno a chi sia o no dannato, ma le due quartine gli fanno un'altra accusa più strana, quella di «tirare le cose altrui nelle sue reti», e poiché non mi pare che si possa parlare di accusa di plagio letterario, è più che probabile che si tratti della solita accusa di ripresentare come sua la Beatrice che era di tutti i poeti e come sue le idee che erano di tutti i «Fedeli d'Amore», alla quale accusa si aggiunge anche quella di rovesciare il dritto e mettere avanti il torto.
In verità questo libel di Dante
è una bella scisma di Poeti,
che con leggiadro e vago consonantetira le cose altrui ne le sue reti.
Ma pur tra Gioviali, e tra Cometi,
riverscia il dritto, e 'l torto mette avante:
alcuni esser fa grami, alcuni lieti,
com'Amor fa di questo e quello amante.
Poi che gli esempj suoi falsi e bugiardiquai presso pon, quai lungi dal demonio,
debbono star sì come voti cardi;
e per lo temerario testimono,
la vendetta de' Franchi, e de' Lombardi,
si dorrà, qual di Tullio fece Antonio(594).
Altra accusa molto oscura nel senso letterale, che sembra pure diretta a Dante, è quella che poi gli fa un altro sonetto d'avere «innestato il persico sul torso», che vuol dire evidentemente aver cercato di ricongiungere due cose tra loro profondamente eterogenee, molto probabilmente la setta e la Chiesa, la divina Beatrice e il carro corrotto. Anche questo sonetto dà il solito annunzio che Dante sta all'Inferno, che ci sta con il suo amico Manoello Giudeo.
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