E per intendere quest'esaltazione fervente della setta dopo la morte di Dante, si ricordi che questo Nicolò de' Rossi è colui che nel suo codice di rime amorose, scritto in parte di suo pugno, riproduce proprio quella misteriosa figura di Francesco da Barberino nella quale io ho ravvisato la rivelazione della setta d'amore.
Egli segue evidentemente il gran segretario della setta: Francesco da Barberino.
Se' tu Dante oy anima beatache vai cherendo la tua Beatrice.
Ben so che fusti a la mente felicesol per trovarla in cielo coronata.
Ma vee che deo ce l'ha quaggiù mandatacum angelica forma en sua vice
tu non la conoserai, ciò me dicelo core meo, tanto è purificata.
Or vieni mego e quando cerneraiuna onestate vestita di nero
negli acti suoi tu te ne accorgerai.
Per fermo ch'essa è quella di veroche sempre la lodasti per cosa neta
salvo ch'or di beltà è più perfetta.(600)
Mentre sulla memoria di Dante s'incrociavano gli odii di provenienza ortodossa, gli odii dei consettari dissidenti e le esaltazioni dei suoi seguaci, mentre alcuni di questi accennavano con spiritosa discrezione al contenuto segreto della Commedia, come faceva Antonio Pucci, o proclamavano l'eternità della sua Beatrice, viva ancora e vestita di nero tra le genti, altri seguaci, come ho accennato, si ponevano addirittura a commentare la Divina Commedia in senso ortodosso con l'intento di salvarla.
Salvare la Divina Commedia voleva Pietro di Dante il quale, nella sua poesia, polemizzava sull'entità e sul carattere della condanna inflitta al padre, e che non avrebbe mai potuto dire quello che probabilmente sapeva del Poema senza richiamare quella condanna sul Poema stesso.
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