E salvare la Divina Commedia voleva soprattutto il «Fedele d'Amore» Giovanni Boccaccio.
6. La beffa dantesca del «Fedele d'Amore» Giovanni Boccaccio
L'atteggiamento del Boccaccio di fronte alla Divina Commedia è stranissimo. Egli che aveva molto vantato il Poema di Dante, fu indotto, benché riluttante, e farne la pubblica spiegazione in una chiesa di Firenze.(601)
Naturalmente egli si trovò in grave imbarazzo tra la necessità di spiegare Dante e quella di non dire che cosa veramente contenesse la Divina Commedia. Fu così che egli riempì di digressioni, di sottigliezze, diciamo francamente, di chiacchiere, un'enorme quantità di fogli, saltando con meravigliosa maestria tutti i punti scabrosi. Fu così che quando si trattava di dire chi era il Veltro e chi era la Lupa egli scivolava abilmente facendo, come si suol dire, «il tonto» con queste parole: «Questi» cioè questo veltro «la caccerà per ogni villa», cioè estermineralla del mondo «Finché l'avrà rimessa nell'inferno, / là onde invidia prima dipartilla». In queste parole chiaramente si può intendere, l'autore dire una cosa e sentire un'altra; «conciossiacosaché manifesto sia in inferno non generarsi lupi, e perciò di quello non poterne essere stato tratto alcuno, per doverlo in questa vita menare». E quanto all'esposizione allegorica, sempre a proposito del Veltro, scrive lavandosene le mani: «E costui mostra dover essere virtuosissimo uomo, e che la nazion sua debba essere tra feltro e feltro... La qual parte io manifestamente confesso ch'io non intendo: e perciò in questa sarò più recitatore de' sentimenti altrui che esponitore de' miei».
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