A questo unico testimone, che dichiara d'aver messo il vulgo in «galea senza biscotto», a questo unico testimone, il vulgo dei commentatori crede quando crede alla realtà storica di Beatrice e alla sua identificazione con Beatrice Portinari; e non s'accorge nemmeno (tanto la cecità della critica «positiva» è profonda!) che il Boccaccio seguita a beffare solennemente il vulgo anche nella Vita di Dante, specialmente con quella meravigliosa panzana del sogno della madre di Dante che, come idea, è ricopiata da tutti i soliti sogni delle madri incinte di grandi uomini e nei suoi particolari è semplicemente un racconto iniziatico in gergo, nel quale compaiono dei simboli evidentemente settari e poi è, in fine del libro, condito con una di quelle maestrevoli chiacchierate dissimulatrici fatte apposta perché il «vulgo ingrato» non capisse nulla.
La madre di Dante dunque, «gravida, non guari lontana al tempo del partorire, per sogno vide quale doveva essere il frutto del ventre suo; comeché ciò non fosse allora da lei conosciuto nè da altrui, ed oggi, per l'effetto seguìto, sia manifestissimo a tutti. Pareva alla gentil donna nel suo sonno essere sotto uno altissimo alloro, sopra uno verde prato, allato ad una chiarissima fonte, e quivi si sentia partorire un figliuolo, il quale in brevissimo tempo, nutricandosi solo dell'orbache, le quali dell'alloro cadevano, e dell'onde della chiara fonte, le parea che divenisse un pastore, e si ingegnasse a suo potere d'avere delle fronde dell'albero, il cui frutto l'avea nudrito; e, a ciò sforzandosi, le parea vederlo cadere, e nel rilevarsi, non uomo più, ma uno paone il vedea divenuto.
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