E come non spiegare e scusare questo volgo di commentatori che trovava intorno alla Divina Commedia poesie scritte in gergo artefatto, commenti artefatti e ingannatori e che vedeva in essi invece soltanto l'autorità dei contemporanei? Lo spirito della critica recente tanto più s'impigliava nella rete tessuta per la «gente grossa» quanto più appassionatamente si fissava nella lettera dei contemporanei di Dante. La sua tendenza alla precisione, alla quale dobbiamo l'esame letterale preziosissimo di tanti codici, l'inchiodava all'artificio della lettera e la sua venerazione per l'autorità dei contemporanei di Dante l'impigliava fatalmente nelle loro «dissimulazioni».
L'essere stata fin dai tempi di Dante stesso ordita da parte di Dante e dei «Fedeli d'Amore» questa vasta trama per non lasciare intendere il loro vero pensiero può in parte giustificare o per lo meno spiegare l'atteggiamento della critica comune e le sue confusioni e cecità sei volte centenarie. Ma di una cosa questa critica non può essere giustificata, dell'avere così superficialmente deriso coloro che rivelarono per primi l'esistenza di questo mondo segreto e di avere per quasi un secolo rifiutato di seriamente indagarlo rispondendo, a chi ne parlava, con solenni e autorevoli beffe, con vituperi o con tronfi giudizi sommari che, ripetuti da tanti anni, intralciano anche oggi il limpido esame di questo argomento.
Sia detto chiaramente una volta per sempre che, se in questo mio scritto mi è sfuggita o mi sfuggirà ancora a volte qualche parola di sdegno verso la critica «positiva», s'intende bene che io ho inteso reagire contro il positivismo da burla.
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