Quest'opera, divenuta rara in seguito all'abbruciamento che si riuscì a farne, fu nominata da molti perché si trovava nei cataloghi, ma non mi risulta che i letterati italiani o stranieri specialisti di dantologia, l'abbiano mai una sola volta criticamente esaminata. Io conosco di quest'opera una sola e mediocrissima esposizione che ne fece il Della Torre nel «Bullettino della Società Dantesca» (vol. XIV, fasc. 4) a proposito degli studi del Perale sul Rossetti. L'esposizione de Il mistero è fatta insieme a quella dello Spirito Antipapale e del Commento, cosicché le ingenuità di questo primo libro, come certi anagrammi e acrostici insignificanti messi insieme dal Rossetti, vengono a essere poste sullo stesso piano delle profonde rivelazioni de Il mistero. Alla fine dell'esposizione di quest'opera, sulla quale un nobilissimo spirito (a cui l'Italia doveva, almeno per gratitudine, un po' di considerazione) aveva consumato la vista e la vita, il critico scrive queste precise parole, magnifico esempio di critica «positiva»: «Tale è il sistema interpretativo di Gabriele Rossetti: Dio mi guardi dallo stenderne una confutazione; la pura e semplice esposizione di esso basta a tanto. Mi limiterò a dire, perché penso che ce ne sia bisogno di fronte a un complesso simile di pazze fantasticherie, che il Rossetti era in perfetta buona fede».
In seguito a un tale profondo esame, lo stesso «Bullettino della Società Dantesca» (XV, 146) dovendo accennare di nuovo per altri motivi all'opera del Rossetti, scrive: «Per l'interpretazione allegorica del Rossetti vedi l'esauriente (sic) articolo del Della Torre».
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