Sappiamo bene che la saggia tattica della Chiesa è stata ben diversa e che se essa ha bruciato la Monarchia, è stata ben felice di trovare nella Commedia una superficie abbastanza ortodossa per adoperarsi con tutte le forze a riaffermare l'ortodossia del grande poeta, specie quando l'ha visto ormai vittorioso nei tempi, e a inquadrarlo tutto entro il tomismo che indiscutibilmente ricopre la superficie della dottrina dantesca(615).
Ma d'altra parte non è neanche esatto il dire che la Chiesa non ha mai sospettato nulla. Abbiamo una testimonianza abbastanza vicina a quei tempi la quale ci attesta di uno zelante inquisitore, Fra Marco Piceno, il quale impostò un processo a Firenze contro i poeti, che per fortuna, dimostrando la loro scienza se la cavarono, ma non senza fatica. Questa testimonianza ci è data da Gerolamo Squarzafico nella sua Vita clarissimi Viri Francisci Petrarchae, che è riprodotta in fronte all'edizione veneziana del 1503 delle opere latine del Petrarca.
Riporto tutto l'importantissimo passo dello Squarzafico, perché da esso si apprendono quattro cose importantissime:
2. Che al tempo del Petrarca tutti i poeti avevano fama di magi, incantatori o eretici.
3. Che vi fu un processo impostato contro «nonnullos» di questi poeti.
3. Che questo processo finì perché qualcuno provvide a farlo finire mentre stavano per nascerne «maxima scandala».
4. Che uno degli imputati era proprio il Petrarca, e che si purgò, «non sine labore», dall'accusa di eresia.
Ecco il passo:
«Fuit illa tempestate poeticum nomen ita invisum, ut qui illa studia sequeret magum, sortilegum et ereticum esse dicebatur.
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