Il problema richiede ancora molto studio.
Un altro contatto del quale mi pare non si possa dubitare, č quello dei «Fedeli d'Amore» con tutta la serie degli imperatori che hanno tentato di rimettere le cose a posto in Italia. Federico II tradisce probabilmente la setta (la Rosa), ma dopo essersene servito quando gli faceva comodo. Arrigo VII, appena eletto imperatore, fa esultare di gioia tutti i «Fedeli d'Amore» italiani e se li trova immediatamente intorno quando discende in Italia pieno di mistico ardore. Dante gli va incontro e lo infiamma con le sue lettere, Francesco da Barberino gli porta una bella schiera di cavalieri, Cino da Pistoia lo esalta e poi lo piange dopo morto, Dino Compagni interrompe la sua cronaca nell'attesa della vittoria di lui. La tradizione imperiale č molto vicina alla lirica d'amore ed č troppo ovvio il ritenere che quest'aristocrazia settaria avesse nei momenti opportuni qualche legame con la forza che si opponeva all'odiata «Morte» e sperasse proprio in quei «gran signor di terra / che posson sovvenir oste e battaglia» per uccidere «Malabocca» e vincere «Gelosia», liberare e salvare il «Fiore», la santa Sapienza, la vera fede.
L'importante č che la stessa frenetica e apocalittica speranza che Arrigo VII suscita nei «Fedeli d'Amore» del suo tempo, la suscita Carlo IV, quando discende in Italia, tra i «Fedeli d'Amore» del tempo suo. Delusi dal tradimento di Federico II, delusi dalla morte di Arrigo VII, delusi dalla viltą e dall'avarizia di Carlo IV, questi «Fedeli d'Amore» tornano sempre a sperare nell'imperatore e nell'Impero.
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