E in fondo questa dottrina è vicinissima a quella che abbiamo ritrovato nella poesia d'amore e forse non è un caso che all'ultima di queste tre novelle si ricongiunga quell'opera di Lessing: Nathan der Weise, che è, si può dire, uno dei capisaldi del movimento illuministico dello spirito moderno.
Ma parliamo delle novelle che riguardano Dante.
Il Rossetti si trattenne a lungo sopra una di esse nella quale credette di vedere velatamente raffigurato Dante: la novella (III, 7) di quel Tedaldo degli Elisei (Elisei era il vero nome originario della famiglia di Dante) che amava la moglie di un Palermini (la setta veniva da Palermo). La «fortuna» inimica si oppose a questo amore, perché la donna «avendo di sé a Tedaldo compiaciuto un tempo del tutto, si tolse dal volergli compiacere» (la setta lo disconobbe). Tedaldo partì segretamente, stette fuori sette anni. Ma un giorno nell'isola di Cipro(623) udì cantare «una canzone già da lui stata fatta nella quale l'amore che alla sua donna portava et ella a lui et il piacer che di lei aveva si raccontava» (era dunque anche lui un così grande poeta che le sue canzoni si cantavano a Cipro!). Egli torna allora alla sua donna in forma di pellegrino, trova quattro suoi fratelli tutti di nero vestiti (i suoi compagni della setta che si nascondevano). Essi sono vestiti di nero perché è corsa voce che Tedaldo sia stato ucciso da Palermini per gelosia. (Si ricordi il giudizio contro Dante da parte della setta e il supremo tribunale della setta che risiedeva, come sembra, a Palermo!
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