Ma fino a che questo argomento non sarà stato seriamente studiato, io sono anche disposto ad ammettere e riconoscere la possibilità di un vastissimo fondo realistico nella poesia del Petrarca, la quale ha indubbiamente un tono d'immediatezza e di passionalità che supera di gran lunga quella di Dante e dei suoi amici.
Chi volesse radicalmente applicare l'ipotesi del gergo, potrebbe anche pensare che il procedimento del Boccaccio e del Petrarca si sia raffinato in questo senso, che essi abbiano compreso che non si poteva continuare in quel gioco angoscioso di mescolare nelle stesse poesie: a. Amore per la donna, b. Moralizzazioni, c. Imprecazioni contro la Chiesa. Infatti queste tre cose che in Dante si trovano (spesso molto a disagio) unite tra loro e mescolate, nel Petrarca si trovano sì tutte e tre, ma sempre, con molto maggior gusto, distinte. Ci sono le imprecazioni contro la «pietra» (Fiamma del ciel sulle tue trecce piova!), ci sono le moralizzazioni, ma sono, ripeto, sempre separate tra loro.
Ma non ritengo necessario di negare al Petrarca la realtà di un amore terreno, il quale ha in molte parti accenti abbastanza veri e toccanti, e in lui l'arte e la passione poterono anche esprimersi da sé svincolandosi molte volte dal misticismo e dal convenzionalismo della tradizione. Ma chi da questo volesse inferire che il Petrarca sia completamente estraneo alla tradizione dei «Fedeli d'Amore» e che non abbia fatto mai lirica a senso mistico iniziatico e non abbia, quando era il momento o quando il tema era molto importante, adoperato la poesia d'amore in gergo per i «Fedeli d'Amore», affermerebbe secondo me una cosa infondatissima.
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