e quale ancide e qual pinge di fore.
Ebbene, nella prosa che segue, esplicativa della poesia, Dante stesso traduce questa parola «ancide» con la parola «uccide» scrivendo: «Dico che amore uccide tutti li miei spiriti e li visivi rimangono in vita»! E allora, visto che proprio Dante traduce il suo «ancide» in «uccide», fui tranquillo e mi parve che fosse impossibile discutere. Ci sarà, non voglio negarlo, anche un «ancidere» che ha altro significato, ma nella lingua di Dante e dei suoi, ancidere vuol dire proprio uccidere come dico io, e non può esistere dubbio. Non troverei affatto strano che il mio libro contenesse inesattezze filologiche e se c'è persona dalla quale accetterei correzioni è il Bertoni, ma quest'inesattezza non c'è. C'è invece a questo proposito una distrazione del Bertoni.
Credo di poter riassumere le mie risposte al Bertoni così:
1. La pregiudiziale che la mia indagine possa recidere il fiore della poesia non ha nessun senso serio.
2. Se questa pregiudiziale si traduca nell'affermazione che le poesie limpide nel senso esteriore non possono avere un senso recondito convenzionale, essa è falsissima ed energicamente contraddetta dai fatti.
3. Dati gl'innumerevoli indizi che convergono verso l'ipotesi dell'esistenza di un gergo convenzionale sotto la poesia d'amore e ne impongono un nuovo esame, è antiscientifico, illegittimo e praticamente impossibile sottrarre a questo esame le poesie, le strofe, i versi che appaiono commossi o armoniosi.
4. L'idea dell'esistenza di un movimento segreto che si sarebbe espresso con la poesia amorosa in Italia trova, non già opposizione, ma luminosa conferma nei precedenti provenzali e francesi e, aggiungeremo, persiani.
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