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      «Sed cognita illustrorum hominum scientia et fratrum avaritia quae a zelo verae religionis non proveniebat, Solipodius tanquam stolidus et bonarum disciplinarum ignarus explosus est. Non tamen sine labore se purgavit Petrarcha» (vd. p. 508).
      Si può ripetere ancora tale e quale quella vecchia obiezione della Chiesa che avrebbe dovuto vedere e non vide mai? Ripeto su questo argomento che:
      1. La Chiesa in un primo tempo non distinse l'unità dei «Fedeli d'Amore», non li considerò come gruppo nella massa dei suoi avversari, li sentì individualmente nemici e molti individualmente ne colpì.
      2. Che la frode sotto la poesia di Dante fu sospettata dai contemporanei zelanti della Chiesa.
      3. Che i «Fedeli d'Amore» nella loro attività politica si confusero, tanto al tempo di Federico II come a quello di Arrigo VII, con i ghibellini e furono fiaccati con essi e divennero rapidamente innocui e che, come gruppo a sé di carattere mistico, ebbero tendenza aristocratica, non suscitarono mai un movimento di folle che potesse preoccupare la Chiesa, tanto più che avanti al popolo si affermavano ortodossi.
      4. Che quando il sospetto della Chiesa si spinse fino al processo, era tardi. Il clamore di un processo che avrebbe potuto rivelare al mondo una così vasta tendenza avversa alla Chiesa sotto a una letteratura che ormai era diffusissima, fu molto saggiamente evitato dalla Chiesa, che d'altra parte si trovava davanti a un movimento che non aveva seguito di popolo, le prove del quale non sarebbe stato facile rendere evidenti e che davanti al mondo si eliminava da sé con le semplici dichiarazioni di ortodossia che facevano i poeti.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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