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      Non devo se non esprimere la mia meraviglia che il Tonelli (che è uno dei nostri critici più schifiltosi quando si tratta di giudicare quello che è poesia o non poesia) qui, per comodo di polemica, classifichi tra i poeti tanti estensori di insulsaggini e di pasticci in versi quanti ne contiene (accanto ai pochissimi e che qualche rara volta fanno delle poesie) il vastissimo gruppo dei «Fedeli d'Amore». E ripeterò ancora per chi vuol intendere che anche le prose (es. i romanzi del Boccaccio) son pervase da questo spirito, che anche gli alchimisti, come tutti sanno, dicevano con altro linguaggio cose analoghe e che le altre manifestazioni dell'attività dei «Fedeli d'Amore» (oltre ai versi) possono essere state infinite, ma di quelle che si confondono con la vita politica e che non lasciano tracce visibili e ricercate dai posteri.
      Incredibile ingenuità poi quella pretesa del Tonelli secondo il quale i «Fedeli d'Amore», posto che non volevano fare letteratura, non dovevano scrivere in versi e avrebbero dovuto mandarsi soltanto lettere in prosa sia pure in gergo!
      Anzitutto i «Fedeli d'Amore» avevano il torto di non aver letto i libri della critica moderna e quindi credevano che fosse lecito usare la forma poetica anche per espressioni simboliche, ed è evidente che lo scopo di far della letteratura non l'ha avuto neanche Dante nella Divina Commedia. E perché costoro non potevano esaltare in versi la loro idea, come si faceva da millenni, e avrebbero dovuto riserbare i versi solo alle donne vere secondo la moda della lirica pura odierna?


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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