.. per far immediatamente bruciare lo scritto... e lo scrittore!
Guido Cavalcanti era fiero? Sarà stato fierissimo ma quando scriveva si vantava di scrivere in modo che soltanto le persone che «hanno intendimento» potessero capire e le altre non voleva che capissero. E il problema di chi fossero queste persone e del perché non dovessero capire, è problema che resta aperto. Ma c'è di più. Fra tutti i «Fedeli d'Amore» ve n'è uno che confessa più chiaramente degli altri lo spasimo di dover nascondere qualche cosa perché domina «la setta che il vizio mantene» e grida chiaramente: «Cieco non sono e cieco convien farmi» e dice del mondo:
... chi vi vuol suo stato mantenere
convien che taccia quel che dentro giace;
nell'alma, guerra, e nella bocca, pace!
Vile dunque, vilissimo secondo il Vicinelli. Già! Tanto vile che a settant'anni salì senza tremare sul rogo e non volle ritrattare quello che aveva insegnato ripetendo: «L'ho detto, l'ho insegnato, lo credo»! Com'è vile, non è vero? Ecco a quali assurdità si arriva quando si trattano le questioni storiche in base a luoghi comuni da donnicciole! Quanto a Dante, il Vicinelli ripete evidentemente una di quelle formulette enfatiche che s'imparano a scuola. Dante, dico io, non ha detto nient'affatto chiaro le sue idee nella Divina Commedia. Le simmetrie della Croce e dell'Aquila, che sono l'espressione del suo pensiero profondo e arditissimo (e che ormai credo che nessuna persona seria neghi), le abbiamo scoperte dopo sei secoli, quantunque in tutti questi sei secoli il poema sia stato rovistato e tormentato in tutti i sensi.
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