L'excessus mentis di Niccolò de' Rossi. Quando il Sapegno, dalla ripetizione della lezione universitaria sul dolce stil novo ammannita senza più alludere neppur da lontano al gergo che ha dovuto riconoscere, scende a discutere i fatti nuovi che io metto in luce, li presenta in una maniera alquanto alterata. Dal solo fatto che l'amore diventa misticizzante, risulta per lui perfettamente naturale che l'amore, come io ho trovato, finisca con l'excessus mentis.
E scrive: «Egli fa le sue più grandi meraviglie quando legge che l'ultimo grado d'amore corrisponde all'excessus mentis, astrazione dalle cose esteriori e sensibili, visione intellettuale e diretta di Dio. Ma questo svolgimento (che si riscontra anche del resto nella Vita Nuova) era implicito nel concetto iniziale del Guinizelli, che l'amore alla donna è tramite al Sommo Bene, via di perfezione, scala a un più alto e supremo amore. Niccolò de' Rossi si limita a dare una forma pedantesca e precisa alle espressioni poetiche de' suoi predecessori».
C'è tutto da rettificare. In primo luogo, io non ho espresso meraviglie, bensì compiacimento per aver scoperto in Niccolò de' Rossi la conferma di quanto il Perez e il Pascoli avevano intuito, e cioè che la simbologia della Vita Nuova si ricollega nettamente a quella di Riccardo da San Vittore nel quale l'excessus mentis è l'ultimo grado dell'amore per Rachele, cioè per la Sapienza, il che conferma che questo amore è, come quello di cui parla Riccardo da San Vittore, amor sapientiae.
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