Ma l'importante, e che il Sapegno molto abilmente tace, è che tanto in Riccardo da San Vittore quanto nel de' Rossi questo excessus mentis è chiaramente simbolizzato nella «morte della donna amata», la quale appunto essendo la Sapienza, muore, deve morire (come Sapienza), quando deve trascendere il pensiero e divenire atto della contemplazione pura. Questo è secondo Riccardo da San Vittore il morir di Rachele nel dare alla luce Beniamino: «né siavi chi creda potersi alla contemplazione elevare se Rachele non muore».
La quale scoperta ha la sua importanza in questo, che essa conferma quanto il Perez e il Pascoli avevano visto, che cioè la morte di Beatrice della quale Dante non avrebbe potuto parlare «senza essere laudatore di se medesimo», la morte di Beatrice, tante volte assimilata o identificata con Rachele, è simbolo di ascensione mistica contemplativa dell'amante della Sapienza.
Tutto questo il Sapegno lo tace perché naturalmente, fissato un significato simbolico-convenzionale di questo genere per un preteso fatto storico, troppi che si pretendono quasi dei semplici slittamenti dell'amore vero in un vago amore mistico, prendono un senso vero e proprio di artifici simbolici convenzionali!
Il preteso contrasto fra la donna e Dio. Il Sapegno scrive: «Noi non neghiamo che il punto d'arrivo sia, in alcuno di questi poeti (ma non in tutti) la lode di Dio, che è però il Dio dei cattolici, e non l'intelletto attivo degli averroisti; ma il punto di partenza è sempre l'amore di una donna reale».
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