Chi scorra l'indice delle Antiche Rime Volgari vede che quasi per ogni poesia si trova un codice pronto a darlo sotto un altro nome. Questo che dovrebbe far riflettere sul fatto importantissimo che le rime dovevano molto spesso andare anonime e che doveva esserci qualche grave ragione per questo anonimo, serve invece mirabilmente al Sapegno per andare a pescare volta per volta i dubbi che fanno comodo sulle diverse attribuzioni. Se non che, i rapporti di Cecco d'Ascoli con i poeti del dolce stil novo sono chiaramente, limpidamente confermati ne L'Acerba, dove Cecco d'Ascoli discute alcuni particolari della concezione dell'amore di Guido Cavalcanti:
Errando scrisse Guido Cavalcanti
«non so perché se mosse e per qual cielo»
ripete cose somigliantissime a quelle del Guinizelli e discute con Dante se l'amore possa essere rinnovato nell'anima che se n'è allontanata:
Non se ne parte altro che da morte
. . . . . . . . . . . . . . .
ma Dante rescrivendo a Messer Cino
amor non vide in questa pura forma,
ché tosto avria cambiato 'l so latino.
«'l sono con amore stato insieme»:
Qui pose Dante che novi speronisentir po' 'l fianco con la nova speme.
Contra tal dicto dico quel ch'io sento,
formando filosofiche rasoni;
se Dante po' le solve, son contento.
È dunque perfettamente inutile che il Sapegno metta in dubbio i sonetti scambiati coi poeti del dolce stil novo perché qui ci sono evidenti discussioni con essi proprio sui particolari della dottrina dell'amore. Il Sapegno aggiunge questa enormità: che se i rapporti di Cecco d'Ascoli coi poeti del dolce stil novo fossero stati anche profondi e cordiali, non dimostrerebbero nulla.
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