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      Davanti alle poesie in gergo che fanno vedere quanto inani fossero gli sforzi di rabberciare il senso letterale delle poesie difficili e astruse, la critica tradizionale tace e si volta dall'altra parte, o si mette a cantare «Guido vorrei che tu e Lapo ed io».
      Il nostro procedimento è diverso. Noi partiamo dalla constatazione di tutto quello che vi è di torbido, d'estraneo, d'incomprensibile nella massa generale di queste poesie e dei poemi che con esse s'intrecciano. Consideriamo tutti i passi dai quali risulta l'esistenza in questa poesia di pensieri volutamente nascosti. Poi guardiamo intorno all'ambiente in cui essa sorge. È un ambiente di intense lotte politico-religiose, nel quale la necessità di nascondere il proprio pensiero è a volte perfettamente giustificata, talora persino confessata come nei sonetti di Cecco d'Ascoli. Troviamo in tutti questi poeti una direzione spirituale politico-religiosa comune. Troviamo in tutti questi poeti un progressivo rivelarsi nella donna amata di una forma oscura di mistica Sapienza adorata. Sentiamo frammisto a tutte queste poesie un brusio indistinto, ma sempre presente, di comunicazioni oscure, d'allusioni incomplete, di dissidi strani, di notizie monche e simili. Voltiamo lo sguardo intorno nel mondo medioevale e ci appare un'altra letteratura (la persiana), nella quale la poesia d'amore è diventata poesia in gergo convenzionale per servire di mezzo di comunicazione nell'àmbito di una setta mistica. Ed ecco che quando ci si presenta il Rossetti con la proposta di una chiave che risolve, in senso mistico-settario la poesia dei «Fedeli d'Amore», noi, invece di ridere come si è fatto finora, la proviamo, la perfezioniamo, constatiamo che essa veramente apre misteri, risolve oscurità, rende comprensibile l'incomprensibile, chiaro ciò che era oscuro, verosimile ciò che era assurdo, umano ciò che era inumano.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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