Hanno sentito dire: «Dante... movimento segreto... avversione alla Chiesa...» e hanno subito a buon conto dato l'allarme. E una simile preoccupazione mi pare abbia avuto Attilio De Rocchi («Augustea» del 16 marzo 1929) che, pur concedendo molto alle evidenti intromissioni d'idee ribelli nella poesia dei «Fedeli d'Amore», non si preoccupa d'altro che di tirar fuori da tutto questo, Dante, senza minimamente badare a quanto ho scritto nell'apposito capitolo sulla Divina Commedia. Né alcuno pretenderà spero che io mi soffermi ad ascoltare delle proteste o delle lamentele romantiche sul tipo di quella di Cieffemme che, nella «Vita Internazionale» (25 febbraio 1928) e altrove, protesta che il mio libro «potrà rinnovare il campo degli studi... e degli studiosi di peso; ma non muterà l'anima dei giovani d'Italia, nutriti di sole e d'azzurro, che tutti certamente ora e sempre, crederanno in Beatrice donna con fede tenace».
Cieffemme può stare tranquillo. Non io vorrò distogliere quei giovani d'Italia, occupati in pasti così poetici e sostanziosi, per portarli nelle biblioteche a studiare i problemi storici col metodo storico! Abituati a quel nutrimento... devono avere uno stomaco troppo debole!
Di alcuni trucchi dell'alta critica. Anche Benedetto Croce si è occupato brevemente del mio libro, ma se n'è occupato a distanza di pochi mesi per ben tre volte («La Critica» settembre 1928, p. 349; marzo 1929, p. 141; settembre 1929, p. 347), e ci è tornato su sempre per assicurare che il mio libro non aveva avuto successo.
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