Ma anche più m'interessa quanto egli aggiunge dopo la mia dimostrazione: «Molto io dubitai di tutte queste cose prima di leggere il libro del Valli che così ampiamente le dichiara».
Sia ringraziato Iddio! Ecco un uomo che confessa quello che tanti altri sentono ma non hanno il coraggio di affermare, cioè che sotto tutte quelle poesie, si sente il falso, che un intelletto sano che non si lasci sopraffare e disseccare dalla tradizione scolastica, a sentire questo falso, a supporre sotto a tutti questi pasticci d'amore qualche cosa di molto oscuro, d'inesplicato, ci arriva da sé. È questione d'avere un po' di sensibilità poetica vera e d'avere il coraggio di liberarsi dalle chiacchiere tradizionali e dalle lezioncine imparate al liceo.
Insieme alla testimonianza del Panzini mi piace mettere quella di un'altra persona di gusto che ripete su per giù la stessa cosa, Ugo Ojetti, che mi scrive:
«Tutti i rimatori del dolce stil novo mi sono sempre piaciuti a versi e a quartine staccate ma nell'insieme mi hanno sempre vagamente annoiato, compreso Dante in molti versi della Vita Nuova. Adesso questo immaginarli tesi in una passione e in un'opera degna di loro, invece che nei giochi di società dell'amor flebile, mi conforta e me li innalza».
A Fausto Maria Martini (Il mistero della donna angelicata, «Il Raduno», 31 dicembre 1927) sono grato non solo del suo consenso e del riconoscimento che la verità sostenuta nel mio libro è pienamente documentata e chiarificatrice, ma soprattutto di quanto egli dice intorno alla pretesa rovina della poesia, che si produrrebbe con la mia interpretazione.
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