) sui banchi della scuola».
Anche lui testimonia d'essere stato angosciato dalle asprezze antipoetiche delle poesie interpretate scolasticamente!
Augusto Garsia comincia un suo articolo (I Fedeli d'amore, «Gli Arrisicatori», Livorno, 16 marzo 1928) con queste parole: «Il recente libro di Luigi Valli, è una di quelle opere che iniziano un'epoca nuova nell'intendimento dell'arte e della vita di un popolo. Dopo l'esame di essa, il Medioevo ci appare con un altro volto e, conseguentemente, pur la rinascita ci si presenta diversa in quel che ebbe in eredità dall'evo precedente, e in quello che ebbe di originario, in reazione a quell'evo».
E anche lui mette in luce soprattutto quanto vera vita spirituale venga a rivelarsi nel Medioevo quando si sia tolto di mezzo quel fantasma della donna angelicata e quando quei suoi incomprensibili ammiratori ci si presentino come uomini di pensiero e di battaglia. Egli pure del resto è un altro cultore della poesia che dà ragione a me, preteso distruttore della poesia, e sa riconoscere che nel complesso le poesie del dolce stil novo guadagnano di verità e di commozione, interpretate secondo il gergo.
Egli scrive: «E tutte queste poesie accanto alla bellezza formale - se ne posseggono - ne acquistano un'altra più intima e più luminosa; e se non ne posseggono, il significato nascosto vale ad animarle all'improvviso, e farle belle anch'esse; mentre prima, oltre a essere brutte, erano spesso insulse».
Enrico Levi nell'esprimere il suo consenso con me nel suo articolo: Il linguaggio segreto di Dante e dei «Fedeli d'Amore» («L'Anfora», Livorno, 1° febbraio 1928) ribadisce un'altra volta con un'altra testimonianza preziosa, il fatto che le spiegazioni ammannite nella scuola intorno alla poesia d'amore non soddisfano nessuno, e che i giovani le ingoiano proprio per mancanza di meglio.
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