Guido Francocci (La dottrina che s'asconde, «Accademia», Roma, 28 febbraio 1929) aderisce completamente alla mia tesi riconoscendo che con essa si dànno «contorni precisi e appaganti agli astrusi amori dei poeti del dolce stil novo, inquadrandoli nel panorama politico-religioso del secolo di Dante».
E ritiene che ormai «una esistenza della setta... nessun cieco vorrà mettere più in dubbio e che la dimostrazione procede con sì persuasiva dialettica da far l'impressione che ormai su tale argo-mento sia stata pronunciata la parola definitiva». Siamo d'accordo però, io credo, col Francocci che se il problema e la tesi sono definitivamente posti, tutti i particolari della teoria sono tutt'altro che definitivamente fissati.
Zanardi Romagnoli (I Fedeli d'Amore, «Rivista Mensile dell'Università Popolare Fascista», Firenze, maggio 1928) in una breve ma lucidissima esposizione ha la parola del buon senso per quanto riguarda certi pretesi effetti distruttivi della mia teoria. Egli scrive: «Dispiace di dover diffidare di quelle belle liriche antiche, albori della nostra grande arte letteraria in cui le dolci Beatrici sfiorano come angeli le vie della terra diffondendo una paradisiaca luce di gentilezza? Ma in compenso è tutto un profondo dramma appassionato che si scopre agli occhi di chi vuol sentire la nuova teoria: dramma di grida invocanti soccorso contro minacce di persecuzioni e paure, rampogne contro i disertori, contro i malfidi, comunicazioni ai fedeli d'altri gruppi di altre sette affini, compiacimento per aver raggiunto qualche grado ambìto nella gerarchia e, come sfondo sinistro, il vampeggiare dei roghi accesi dal clero imperante».
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