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      In una breve ma calda recensione del mio libro («Rivista Marittima», febbraio 1928) G. R. dopo avere osservato che le nuove scoperte «illuminano, trasformano, ricostruendo, abbattono vecchie strutture accademiche in cui si sentivano incastrate per la vita molte ostriche fossilizzate dallo scolasticismo» constata anche lui che quella parte della letteratura che io ho studiato, «ora veramente ci appare degna di culto, riabilitata dalle poche apparenti insulsaggini formali, vacuità o astrazioni di pensiero, falsità o inumanità di sentimento che la critica superficiale e scolastica lasciava sussistere col suo compatimento pieno di sussiego».
      Fortunato Rizzi in un articolo: Misticismo settario o poesia d'amore? («Minerva», 11 agosto 1928), dopo aver espresso lo sbalordimento dinanzi alla mia tesi, riconosce che usando la chiave da me scoperta «tutte o quasi tutte le liriche delle nostre origini assumono, rivelano un significato chiaro e coerente, gelido, freddo, ripetuto sino alla noia se volete, ma indubbiamente chiaro e coerente».
      Egli si preoccupa, al solito, di salvare i valori estetici e la realtà storica tradizionale delle donne. Quanto ai primi credo di aver dimostrato che non sono in pericolo, quanto alle seconde, dato il puro carattere di materia che offrirono le impressioni dell'amore alla fede, mi pare che l'indagine storica sulle pretese ispiratrici diventi un gioco superfluo e impossibile a condursi a fondo.
      Augusto Lacchè (I Fedeli d'Amore, «Scuola Fascista», 19 aprile 1928), in un'altra esposizione vasta, precisa, efficacissima del mio libro ha dato una nuova testimonianza della profonda insoddisfazione che lascia nei giovani la solita interpretazione scolastica: «Insomma il buon Omero non dormiva, ma russava alla grossa, e l'umanità viva e dolorante di quei nostri poeti sfuggiva non solo ai discenti ma ai docenti stessi.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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