E c'insegnavano che alla castellana gravemente e galantemente atteggiata della canzone trovadorica, sottentrava la giovinetta pallida, pensosa e pudica, dalla cui bocca uscivano spiritelli parlanti che si facevan derivare da teorie aristoteliche e tomistiche, delle quali capivamo ben poco...
«Dunque il dolce stile correggeva le storture della poesia provenzaleggiante, riportava la sincerità e la spontaneità dell'espressione, ma non andava esente da un convenzionalismo tutt'altro che estetico. Non era sgorgato da poco il volgare dal robusto ceppo del latino, vigoroso e ingenuo come un virgulto pur mo' nato? E allora donde il convenzionalismo? E questo non contrastava con la libera espansione del nuovo spirito italico, che dava la vita alla gloriosa età dei comuni?»
Di questa così esplicita testimonianza dell'insoddisfazione che dànno le interpretazioni tradizionali, io sono grato ad Augusto Lacchè, come di tutta la sua lucida esposizione e del suo franco consenso.
Ettore Li Gotti (Mistero di donna, «Giornale dell'Isola», 4 aprile 1928), in un riassunto e un'esposizione del libro che non pretende di dare un giudizio definitivo, riconosce alla conclusione che: «la tanto famosa scuola del dolce stil novo prende, sotto la nuova teoria, un indirizzo completamente diverso e forse più logico, più vicino ai tempi, che erano tempi di lotte politiche e religiose, di eresie e di passioni settarie, di rinnovamento dello spirito e della coscienza».
Il Li Gotti parla delle obiezioni del Vicinelli e in parte gli sembrano valide, in parte le combatte egli stesso.
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