Ho detto io stesso che il mio libro, per quanto denso e voluminoso, non è che l'inizio di un'indagine nuova. Non già (secondo la mia impressione) che l'eventuale relazione dei «Fedeli d'Amore» con le idee di Gioacchino escluda, o renda superflua l'indagine del loro rapporto con i «Fedeli d'Amore» persiani che avrebbero offerto, secondo me, soprattutto il modello formale della poesia mistica in gergo convenzionale apparentemente amoroso, ma è certo che le convergenze dei movimenti mistici e iniziatici del Medioevo nel movimento dei «Fedeli d'Amore» sono infinite.
Non ho studiato (mi auguro che altri possa farlo, specie quando sarà compiuta la pubblicazione delle opere di Gioacchino di Fiore alla quale lo stesso Buonaiuti attende con tanta competenza e con tanto amore) i rapporti del simbolismo e delle idee di Gioacchino con quelle dei «Fedeli d'Amore». Ho già mostrato però altrove (Il segreto della Croce e dell'Aquila nella Divina Commedia, p. 299) che Dante si accorda con Gioacchino di Fiore nell'attendere prossima una nuova èra del genere umano con questa differenza che, mentre per i Gioacchimiti si trattava di una terza èra di perfezione, diversa dalle altre, per Dante si trattava di un ristabilimento di quella seconda èra (da Cristo a Costantino) nella quale il mondo era stato felice con la Croce e con l'Aquila. Prima infelice con l'Aquila senza la Croce, poi felice con la Croce e con l'Aquila, poi infelice con la Croce senza l'Aquila e in fine, secondo la sua profezia, di nuovo felice con l'Aquila e con la Croce.
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