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      Gaetano Scarlata una volta persuaso della verità fondamentale della nostra tesi ha semplicemente proseguito l'indagine dell'applicazione del gergo e ha preso per suo campo lo studio del De Vulgari Eloquentia, che, come già aveva accennato il Rossetti e ribadito l'Aroux, è esso pure un libro pieno di misteri, e che mentre sembra parli dell'idioma italiano allude invece, per lo meno assai spesso, alla lingua segreta che senza essere in nessun luogo «redolet» in ogni parte, valutando uomini, poeti e regioni in funzione della loro maggiore o minor vicinanza alla santa dottrina(642). Si potrà avere un'idea del coraggio dello Scarlata quando si pensi che quest'interpretazione accennata da noi e da lui sviluppata, viene a dire ai nostri filologi di istinti così contrari al gergo convenzionale, che non solo le poesie da loro tanto rimestate sono in gergo ma è in gergo addirittura il primo testo di filologia italiana! I terribili nemici, il gergo, la convenzione, il linguaggio doppio sono addirittura nel cuore della loro fortificazione, sono penetrati nella stessa filologia! Nessuna meraviglia quindi per qualche risentimento sciocco e scomposto della scuola tradizionale contro di lui. Non è giovato neppure che egli abbia esumato un'importantissima lettera di Alessandro Manzoni il quale sosteneva che nel De Vulgari Eloquentia Dante non parla affatto dell'idioma italiano bensì di uno stile letterario!
      La tradizione scolastica continuerà a non vedere dinanzi a tutte le convergenze d'indizi ormai chiare che dimostrano la fondatezza della tesi dello Scarlata.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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