Lascio questi atteggiamenti agli eredi della superficialità «positiva». Quello che più temerei per la mia tesi sarebbe che trovasse troppo facili consensi e potesse diffondersi senza venir sottoposta al fuoco purificatore della critica.
Intanto, continuando la mia via, aggiungo a questa discussione alcune brevi note e nuove documentazioni in appoggio agli argomenti già esposti nel mio libro.
Note aggiunte
Come Dante «Facea li vocaboli dire altro che quello ch'erano usati». A proposito del significato convenzionale dato ad alcune parole dai «Fedeli d'Amore», richiamo l'attenzione degli studiosi sopra quell'interessantissimo passo del Commento dantesco dell'Ottimo (Inf., X, 85), nel quale l'autore dice precisamente così: «Io scrittore udii dire a Dante che mai rima nol trasse a dire altro che quello che aveva in suo proponimento; ma ch'elli molte e spesse volte facea li vocaboli dire nelle sue rime altro che quello ch'erano appo li altri dicitori usati di esprimere».
Riflettiamo un momento. La testimonianza è più che verosimile, anche perché, se l'autore avesse avuto la capacità d'inventare parole e testimonianze di Dante ne avrebbe inventate di più sapide e brillanti. Sappiamo che Dante dunque nelle sue rime adoperava parole dando loro un significato diverso dall'usato. Non mi pare che qui per rime si debba intendere le rime del verso. Il vanto di non esser forzato a cambiar pensiero dalla rima si tradurrebbe in una confessione ben ridicola se per far una rima difficile invece di cambiar pensiero Dante avesse mutato mentalmente, senza dirlo a nessuno, il senso della parola rimata.
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