Questo stessissimo pensiero è al principio del poemetto in parola. Francesco da Barberino scrive:
Non maravigli alcun se oscuro trattopoi ch'a tal punto m'ha fortuna tracto.
E il poemetto comincia come abbiamo visto:
Io non posso narrar la mia sciaguraché son per gioco alla fortuna dato:
però vengo a contarvi una ventura...
Anche questo ignoto poeta non può dire le cose chiare perché la fortuna lo domina e per questo le dice velatamente raccontando una ventura. In tutti e due i poeti torna questo stranissimo pensiero, che sia colpa della fortuna se devono parlare in maniera incomprensibile ai più!
La «nona figura» di Dante e di F. da Barberino. C'è un altro gruppo di fatti assai curiosi nei quali si riconferma l'incontrarsi di Dante e di Francesco da Barberino in un oscuro terreno iniziati-co. Dante dice nel Paradiso che il primissimo nome di Dio fu I. Egli si fa raccontare da Adamo:
Pria ch'io scendessi all'eternale ambasciaI si chiamava in terra il Sommo Bene.
Adamo spiega che poi Dio si chiamò EL.
Che questo nome di Dio, il più antico e, come più antico più venerando, sia stato tenuto da Dante in particolare onore, si può rilevare anche dal noto epigramma, a lui attribuito dalla tradizione, che avrebbe scritto contro colui che disprezzava la «nona figura» cioè la nona lettera dell'alfabeto che è appunto ITu che disprezzi la nona figura (I)
e sei da men della sua precedente (H)
va e raddoppia la sua conseguente (K)
ad altro non t'ha fatto la natura.
L'autore di questo epigramma, posto anche che non fosse Dante, era certo un iniziato per il quale l'I era sacro come per Dante.
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