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      Ella èquanto de ben po’ far natura;
      per esemplo di lei bieltà si prova.
      Se Beatrice è (nella sua essenza) un prodotto perfettissimo della natura non sembra possa essere nello stesso tempo la divina Sapienza, che certo non è prodotto della natura. Quest’obiezione fa vedere assai bene quanto avesse ragione il Rossetti quando diceva che le costruzioni sintattiche di Dante sono talora ambigue e si prestano perfettamente a due letture diverse, l’una per chi deve contentarsi di un significato superficiale e l’altra per chi deve vedere a fondo; sono ambigue di quell’ambiguità che fa orrore ai critici moderni, ma che il Petrarca stesso considerava come pregio della poesia:
      ...Quaedam divina poetisVis animi est; veloque tegunt pulcherrima rerum,
      Ambiguo quod non acies, ni lincea rumpatIl Pietrobono infatti legge secondo il senso che deve apparire ai più. Ella (Beatrice) è quanto di bene può fare la natura. Invece nel senso profondo si deve leggere: Tutto quello che la natura può fare di bene è lei, è cioè manifestazione della Divina Intelligenza, proprio secondo il pensiero aristotelico specialmente sviluppato da Averroè, che tutto ciò che è bene, che ha un valore spirituale e che pervade la natura, è raggio, manifestazione, espansione di questa Divina Intelligenza. Idea che si accorda meravigliosamente con l'altra espressa nel verso seguente: «Per esemplo di lei bieltà si prova», che il Pietrobono potrà intendere se vuole: Quando si vede lei (Beatrice) si ha un esempio di quello che è la bellezza, ma che in verità suona molto più profondamente così: Quando noi abbiamo conoscenza della bellezza, noi conosciamo un esempio, un'immagine di quello che è la Divina Intelligenza.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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