Dagli amici che mi accompagnarono in massa alla stazione, m'accomiatai con un bacio e saltai sul treno.
Chiudo con un aneddoto. Poche ore prima di partire, mi recai a salutare una buona vecchia, che aveva per me un amore materno. La trovai sulla soglia di casa assieme alla giovane sposa di un suo figlio.
- Ah, sei venuto, - mi disse. - Ti aspettavo. Va' e che Iddio ti benedica; non si è mai visto un figliuolo fare per la madre quello che hai fatto tu. Va' che tu sia benedetto.
Ci baciammo. Mi rivolsi alla giovane sposa e le tesi la mano.
- Baci anche me; io le voglio tanto bene, ché lei è tanto buono, - mi disse tra il pianto quella nobile popolana. La baciai e fuggii. Le intesi singhiozzare.
L'undici giugno lasciavo Torino, diretto a Modane. Mentre la macchina sbuffante voltava il tergo all'Italia, mi portava verso i confini, qualche silenziosa lacrima cadde dai miei occhi, cosí poco usi al pianto. Cosí, abbandonava la terra natia questo «senza patria».
Dopo due giorni di treno attraverso la Francia e sette di navigazione attraverso l'oceano, giunsi a New York. Un compagno di viaggio mi condusse alla 25a Strada all'angolo della 7th Avenue, ove abitava un mio concittadino. Alle otto di sera scendevo malinconicamente le scale.
Solo, straniero, senza intendere né essere inteso, passeggiai a lungo per quel quartiere in cerca di un alloggio.
Alla batteria il personale di servizio trattava i passeggeri di terza classe a mo' d'armento - triste sorpresa per chi sbarca speranzoso su questo lido; il quartiere poi mi fece una impressione addirittura spaventevole.
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