Rifocillati alla meglio, partimmo alla volta delle fornaci.
- Che ci sarà laggiú ove sorge quella ciminiera? - chiesi al mio compagno.
- La fabbrica di mattoni.
- Andiamo a chieder lavoro?
- È troppo tardi, - rispose, - non troveremo nessuno sul lavoro.
- Andremo alla casa dei padroni.
- Via, tiriamo avanti, che troveremo di meglio; sono lavoracci quelli, impossibili per te.
Mentre le domande e le risposte si succedevano, ritornai colla mente a quella povera famiglia, pensando che quella sera al suo magro desco mancava il pane che avevamo consumato, e sentii un brivido pensando al freddo sofferto la notte precedente; mi guardai addosso : ero coperto di cenci.
La realtà mi spinse ad insistere nell'idea che era necessario trovar lavoro ad ogni costo e finirla con quella vita di privazioni inaudite.
- Andiamo, domanda lavoro, - dissi ancora al mio compagno di povertà.
- Tiriamo avanti, - rispose di nuovo con accento canzonatorio.
- No: se non vuoi, vieni almeno a domandare lavoro per me.
Visto che non si fermava, con un balzo mi gli piantai davanti.
Dovevo essere sconvolto, perché lo vidi impallidire.
- Eh! Sei proprio un green, - mi rispose. Ma chiese ed ottenne lavoro.
Lui fuggí dopo venti giorni senza dare un soldo alla famiglia che ci aveva ospitati. Io lavorai in quel posto una diecina di mesi. Eravamo una colonia di piemontesi, lombardi e veneti, v'era un'orchestrina, si ballava e cantava molto; chi era capace s'intende, non io, che al ballo specialmente non ho abilità veruna.
Ma vi erano anche le febbri, e tutti giorni qualcuno batteva i denti.
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