Anche Francesco Caldera mi aiuta e mi scrive. Circa sei mesi fa ho ricevuto, a mezzo di un amico, una cartolina dalle sorelle Marchisio, e ho capito dal loro indirizzo che avevano una panetteria (o vi lavoravano) in New York. Ho risposto, ma non ho piú ricevuto loro nuove.
Di salute sto bene. Lavoro da sarto, studio l'inglese, leggo i giornali e molti libri; insomma faccio il possibile per mantenermi sano e forte, per poter vincere.
L'aiuto cresce sempre più, e io spero di ottenere giustizia.
E tu come stai? Come sta la tua famiglia; e i tuoi? Le figlie erano due, mi sembra, a quest'ora saranno grandicelle. Quando eravate ancora in New York, io vi ho scritto parecchie volte, specialmente dopo che appresi la vostra perdita del povero e caro Ettore, ma non ho mai ricevuto risposta.
Da quanto dici nella tua lettera, sembra che siate intenzionati di lasciare l'Italia. È un ben povero mondo il nostro! Dappertutto va male, la gente ha perso la ragione e si fa del male da se stessa. Io sono molto bene informato delle condizioni della povera Italia e del mondo. E ti dico la verità che nel sentire tante disgrazie e brutte cose, ho paura del mondo, mi sembra che sia un bene essere chiusi fra quattro alte muraglie.
Ma questo non è vero. La libertà è la prima cosa della vita. Le sofferenze e i pericoli non mi hanno fatto diventare vigliacco; sono sempre forte, coraggioso e volenteroso, e se riavrò la libertà continuerò a combattere, perché io, e tu lo sai, non sono né sarò mai né ladro né assassino, ma sono contro l'ingiustizia e per la libertà.
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