Gli ho risposto che la voglio in tutto e per tutto rimettere a lui, perchè in sostanza egli è poi un buon uomaccio, e di cuore. Mi ha voluto per forza donare un colletto di dante, che gli ho molto lodato, e non vi è stato ordine, perchè arrivato a casa me l'aveva già mandato e fatto lasciare. Ma che ne ho io da fare, non essendo cosa da me? mi vuole ancora dare un abito nero da città a scontare in tanta pittura. Io gli ho detto che lo prenderò e farò d'ogni cosa per lui avendogli noi tanta obbligazione.
Non ebbi risposta da mio padre. Io non so immaginarmi il perchè, se bene dubito sia smarrita, perchè Agostino mi scrive pure che mi rispondeva quell'istesso giorno. Sono stato alla Steccata(93) ed alli Zoccoli(94) ed ho osservato quanto V. S. mi diceva alle volte; e confesso ancora io esser vero; ma io sempre dico, quanto al mio gusto, che il Parmigianino non abbia che far col Coreggio, perchè quelli del Coreggio sono stati suoi pensieri, suoi concetti, che si vede che si è cavato di sua testa e inventato da sè, assicurandosi solo con l'originale; gli altri sono tutti appoggiati a qualche cosa non sua, chi al modello, chi alle statue, chi alle carte: tutte le opere degli altri sono rappresentate come possono essere; queste di quest'uomo come veramente sono. Io non mi so dichiarare, nè lasciarmi capire, ma m'intendo bene dentro di me. Agostino ne saprà ben cavar lui la macchia, e discorrerla per il suo verso. Prego V. S. a sollecitarlo a sbrigarsi di quelli due rami(95), e a raccordare con bella maniera così come da sè quel servizio a nostro padre, che non posso far di meno, nè lo infastidirò poi più, e toccati qualche quattrini, come spero, ne manderò poi o ne porterò io stesso; e, per non più incomodarvi, resto di V. S. Parma, li 28 aprile, 1580.
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