Num. IX. Già ho detto il disegno mio circa l'invenzione del Canto de' Carnesecchi, che lo vorrei dedicato all'illustrissima casa de' Medici, dove sarà ancora campo largo di pontefici, duchi, cardinali, e regine e uomini illustri da potersene onorare e abbellire, e vi sarà statue e pitture, come piacerà a V. E., et azioni onorarissime, con motti e imprese, ec. E qui ancora si potrebbe metter l'arme de' parentadi fatti da questa casa illustrissima, che tutto si dice per mettere in considerazione all'E. V. I. ogni cosa.
E qui è da considerare, se in questo luogo s'ha a far memoria o statua di V. E. I., e del principe; che in quanto a me sarei d'animo di serbarla all'arco da farsi, o da S. Firenze (andando di qui) o (andando dal Garbo) al Diamante con quella occasione, e sotto quella invenzione che si dirà appresso; e massimamente mi muove a questo, che, come in quell'arco della casa d'Austria è la progenie e casa della sposa, e come dire il suo parentado insieme, così vorrei che fusse in questo, e non le persone proprie, riserbandole (come ho detto) a quel luogo. E questo è quanto pare a me; ma molto più mi parrà quello che sia di contentamento dell'E. V. I.
Il concetto è concatenato con quello di sopra dal Canto a' Tornaquinci, e tanto unito e simile che quasi ha da avere quel medesimo andare di concetti e di parole come si disse allora. E per dichiararmi meglio e aprire un po' più questo concetto, gli antichi Greci e Romani nelle nozze usavano far due schiere o compagnie, o ragunate che noi vogliam chiamarle, di tutti i parenti e amici stretti, così dello sposo, come della sposa; et una ne davano allo sposo, che aveva a ricever la sposa, l'altra compagnia era con la sposa, e l'avea a consegnare a' primi, benchè per lo più, e per una certa loro usanza, se la lasciavan rapire come per forza; ma con lo sposo erano tutti i giovani così del suo sangue come dell'altro, e con la sposa le fanciulle sole.
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