1565.
LVIII.
D. Vincenzio Borghini a M. Giorgio.
Quel discorso che noi avemmo ieri di quelle imprese, mi toccò l'ugola, perchè non solo ci fa servizio a empiere quei vani ed ornare quel luogo, ma, che importa molto più, ci scuopre l'intenzione e la fantasia ed il gusto di S. Eccell., che è un aprir la via a molte cose, e spianare e facilitare la strada, che voi sapete bene, che quando e' non si sa se una cosa va a gusto o no al padrone, si va a tentoni. Però questo è un gran discoprimento al nostro proposito. In quanto a me, ed alla mia fantasia, io avevo dato in brocco, perchè io considero quelli antichi imperadori romani, nel tempo de' quali era ancora in piè il buon gusto delle invenzioni, ed ancora al tempo di que' gran cittadini romani, che quando si faceva qualche cosa segnalata, che tornasse in benefizio pubblico, gli autori, ancorchè non facessero a loro spese, nondimeno se ne gloriavano, ed abbellivano, come si vede nelle medaglie che quelli di casa Marcia facevano per riverso l'acquidotto dell'acqua Marcia, l'alto quando era censore uno di casa loro, che ebbe quell'impresa; onde, molto più lo potettono fare gl'imperatori, come si vede dal Porto di Nerone o di Claudio, o dal Ponte di Traiano, ec., se ben mi ricordo, perchè scrivo a mente. Vo' dire, che avendo il signor duca nostro seccato paludi, fortificate terre e fatte mille fabbriche, ed altre cose notabili, meritamente se ne può far menzione. Vedremo dove inchini la fantasia sua, e potremo facilmente accomodarci a quella; sicchè io vi prego che non istacchiate questa faccenda, finchè la conduciate.
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