La grandezza io non l'ho intesa, significandomi la larghezza del foglio della lettera sua, chè io non so se V. S. vuole dire il foglio aperto o serrato; sebbene, non avendo cornice, io lo formerò a mio gusto da tenere sopra un tavolino. Farò quanto potrò il più, e la invenzione che non sia triviale. Basta: se io non farò quanto desidera, io opererò quanto saprò, e di cuore. Qua da noi si fa maschere, festini, balli, e si sta allegramente. Il sig. Bartolotneo Dolcini, a cui ho fatto sempre le sue raccomandazioni, ultimamente mi ha data l'inclusa poliza, che la invii a V. S., e con tal fine le bacio le mani. Da Bologna, il dì 22 di gennaro, 1617.
XCIII.
Lodovico Caracci al sig. don Ferrante Carlo.
Con questa mia vengo a salutarla caramente, e insieme a pregarla di sentire nuova della sua persona e del suo ben essere, e della lite eterna, che a me così pare; ed averò sempre desiderio, per l'amicizia e servitù che io tengo con V. S., di saper tutto ciò.
Ora in questi giorni carnevaleschi, una sera verso le tre ore di notte fu introdotta in casa mia una maschera, in quanto all'abito, quanto alla faccia scoperta un Angiolo del paradiso, accomodata con la testa coronata d'alloro, abiti candidi, di materia composta con grandissimo disegno, con la tromba in mano, e suonando all'entrare nella stanza, dove mi trovavo, con maniere di qualche passeggio, con grazia virginale, com'era, mi recitò questi versi qui inclusi, con tanti gesti e parole graziose, che parea che la Poesia venisse dal cielo a me gratissima.
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