Napoli, 10 dicembre, 1637.
CX.
Gio. Lanfranco al sig. Ferrante Carlo.
L'essermi partito di Roma assai improviso, che fu per non lasciar compagnia di persone conoscenti, molto a proposito per tal viaggio, mi causò ch'io feci mancamento con V. S. illustrissima, benchè ci fussi una volta per licenziarmi, ma con poca fortuna, per non l'aver trovata in casa: spero però esser dalla benignità di V. S. illustrissima scusato.
Mentre mi son trattenuto in Napoli, ho avuto in mente il desiderio che teneva di un Vesuvio; però non ho mai veduto cosa di mio gusto, nè meno mi ha piaciuto il far d'alcuni che ne professano; però avendone a caso veduto uno in Palazzo il meglio che abbia veduto, per esser assai al naturale, dimandai del mastro, il qual dissero esser morto, ma alcuni mi dissero esser di Giuseppe Rivera(171). Ma, sia come si voglia, non potendosi aver quello, nemmeno il mastro, m'hanno favorito lasciarlo copiare, dove ho stimato, per non poter aver meglio, V. S. illustrissima se n'abbia compiacere, ed accettare la buona volontà, desiderando servirla in cosa di maggior sustanza e gusto. L'invio però per il procaccio col nome di V. S. illustrissima.
Circa il grande infortunio, V. S. illustrissima l'averà inteso da più bande, nè io ardirei per il poco sapere; ma non resterò di dirle di quelle strisce di fuoco che calarono a basso come metallo squagliato, le quali son chiamate lave, e paiono così piccole: contuttociò non ve n'è nessuna che non sia un miglio lunga, ed alcune due e tre e quattro miglia, che avendole vedute in effetto, come ho fatto io, sendo anco salito alla bocca, è cosa di troppo gran maraviglia e danno; e col ricordare a V. S. illustrissima l'antica mia divozione, le faccio umilissima riverenza, pregandole dal signor Iddio il colmo d'ogni suo desiderato bene.
| |
Carlo Roma Napoli Vesuvio Palazzo Giuseppe Rivera Iddio
|