Di Milano, li 11 luglio, 1551.
CLXXXVI.
D. Teofilo Gallaccini a Niccolò Tornioli(220).
Insomma, per quanto comprendo dal suo avviso, bisognerà ch'io m'accordi con ciò che disse Marziale, poeta spagnuolo, Ciascuno essere ingegnoso sopra l'opere altrui. Il che è il voler tenere a sindacato quanto da altri si fa; come se fosse loro per privilegio singolare conceduto il sovrastar col giudicio indiscreto e senza senno, alla censura delle opere altrui. Questi nuovi momi, o pure Sanesi, o Sanesi arromanescati, non hanno altro gusto che 'l sottrarre e digradare al valore altrui. Si confermano in così malnato ed odioso costume dalle loro imaginate chimere, e dalle false opinioni senza ragione alcuna, secondando il male affetto loro. Signor Niccolò mio, non se ne curi punto, e ne faccia quel conto che dell'abbaiar de' cani alla Luna. In quanto all'invenzion del Francesino nello intenerire i marmi, le rispondo, che siccome ho potuto ritrarre da messer Bernardino Cortonese, scarpellino in Pantaneto, esser vera, ed averla anche intesa da lui medesimo. Ciò faceva per non aver a servirsi dell'opera degli scarpelli d'altri artefici, potendo per sè stesso agevolmente con stiletti di ferro fare i contorni, i lineamenti e l'ombre delle figure. Non però tigneva il marmo per formare l'ombre e le mezzetinte, ma vi commetteva una pietra di color bigio, o piuttosto simigliante al color della liscía, come già fece Domenico Beccafumi nel pavimento del duomo di questa città. Questa pietra è quella stessa che si adopera per arrotare ad olio i coltelli, i rasoi e gli scarpelli da legname.
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