Questo dì 21 d'ottobre, 1665.
CCII.
Salvador Rosa a Gio. Batista Ricciardi.
Questo smarrimento di lettere a me servirà che un giorno perda affatto il resto del mio poco cervello. Vi giuro che cinque sono state le lettere inviatevi prima di ricever quest'ultima vostra per l'ordinario di Milano, la quale mi ha rimesso una dozzina d'anni di vantaggio, e se non compariva, ero per mettere in ordine la valigia e marciare a cotesta volta, e per certo che l'indovinavo, poichè averei potuto servire di fattore al murator della vostra fabbrica. Argomento sicurissimo che voi avete trovo il tesoro, al detto de' Napolitani, i quali dicono: Chi ha danaro fraveca, e chi ha vinto naveca.
Ma che direte della mia vista, la quale mi va così declinando, che non posso leggere una lettera se non la discosto quattro palmi dagli occhi. La testa non patisce altro naufragio, accorgendomi giornalmente che la spensierataggine mi fu, e m'è di presente di grandissimo giovamento.
Le settimane passate, per grazia della fortuna, finii d'accomodarmi i venti scudi il mese, sicchè non ho da pensar più a questo punto; tutto quello che s'anderà facendo, servirà di vantaggio. Ve lo fo sapere, acciò ve ne possiate prevalere nell'occasioni.
Ieri Augusto incominciò il suo primo mezz'occhio. Quello che sia per essere di lui in questo genere del disegno, lo rimetto al soggetto. Vi riverisco, conforme il simile fa la signora Lucrezia, la quale si trova con non troppo buona salute.
Qui teniamo monsù Possino più dall'altro, che da questo mondo.
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