Ma se l'operare mio non gli piace, perchè non darmi, e V. S. procurarmi la licenza del ven. capitolo, senza volermi segnare al mondo coi suoi disegni per poco amico del ben pubblico, cosa contrarissima alle azioni e pensieri miei? Eppure mi si doveva fare intendere o l'uno o l'altro termine. Quanto poi ai dieci dubbi, o dimande che V. S. fa, e de' quali finora non era mai venuto all'individuo, le dico, o che sono suscitati da altri, o da lei sola. Se altri, da quegli stessi V. S. n'ha da procurare la chiarezza, per renderne conto al capitolo, del quale, com'ella dice, ha avuta tal cura. Se da lei sola, fa bene a cercarne la certezza, come che da sè dica non essere atta a ciò; ma non fa già bene a domandarla a me, che, per qualsivoglia buona risoluzione che io facessi, non mi darebbe la credenza, come ha mostrato, pigliando la strada incominciata, senza volere saperne da me alcuna cosa, come sarebbe stato dovere, non tanto perchè fossi l'architetto, quanto che sono sempre stato servitore a' suoi maggiori ed a lei stessa, oltre l'esser pure ancora cittadino milanese. Potrà però V. S. da altri cittadini ed architetti, mentre ve ne sono di valenti nella nostra città, averne quello che desidera, quando non voglia con il compasso in mano far vedere ch'ella sola sia a tutti gli architetti superiore, per averne l'idea dell'architetto descritta da Vitruvio, colla quale va discernendo le cose barbare dalle romane. Alla correzione delle quali, giacchè non vuole avere detto di fare la cupola del suo, potrà dare e sicurtà e quanto da me ricercherebbe, poichè tanto gli spiace quella meschina fabbrica con questo sventurato e basso architetto, che nondimeno, quale egli si sia, sarà sempre prontissimo a quanto comanderà il ven. capitolo, quando V. S. si voglia accontentare di esser ella ancora uno de' signori prefetti e non l'architetto; che, così facendosi, non vi è dubbio alcuno che l'opera non riesca con quel perfetto fine, che ogni buon cittadino e buon cristiano deve desiderare.
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Vitruvio
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