Del conio dove il cavaliere Lione, mio compare, ha impresso in casa mia non parlo; imperocchè fino a Barbarossa in Turchia lo venerò con gran laude. Ma dove lascio il ritratto stupendo, trenta volte non che una, che il celebrato pittor cesareo (del prelato Tiziano s'intende) fece a richiesta mia in tre giorni; che chi conobbe voi in quella età, vede voi in carne ed in spirito al presente mirando lui; talmente par egli vivo e naturale, e non è dubbio che per ricchezze, anzi per mio idolo, con la riverenza che il mondo vi debbe lo tengo e terrò mentre durerammi la vita, lasciandolo poi in eredità ai miei posteri. Sì che vi supplico da parte di ciascun vostro amico e servitore a tener quello del gran Sansovino in sua memoria, perchè si getta via e disprezza ciò che si porge e si dona ai signori, ai quali una insalata, e dieci frutti di presente in tributo è pur troppo.
State adunque sano, e mantenetevi in grazia della cera magnifica e regia di cui la natura ed il cielo vi dotò, di maniera che in le fasce più tosto semideo e monarca, che poeta ed oratore vi dimostra. E chi adulator mi tenesse mirivi alquanto armato, tremendo in la tavola, dove il di voi più che fratello Tiziano dipinse naturalmente Alfonso Davalos del Vasto, marchese, che parla a lo esercito in atto di Giulio Cesare ed in forma. Mirivi in tale istoria, e vedendovi, parrà Milano, corso in persona di tutto il suo popolo, a guardarvi come divino simulacro e degnissimo. Di Venezia, a li 15 di settembre, 1551.
XXI.
Leone d'Arezzo(248) al signor Pietro Aretino.
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