Ma se si vuole dal Bellori che il consiglio dato da Bramante al Papa fosse un malizioso ritrovato, sarà più malizioso il procurarsi che fecero, a detta del Bellori, Giuliano e Michelagnolo quell'opera con torla, di mano a Raffaello; e se quello si vuole dal Bellori che fosse un maligno trattare, perchè non sarà un trattar maligno ancor questo? E se si vuole che fosse un offendere la virtù di Bramante il pensarlo capace di un tal maneggio, perchè offesa esser non deve alla virtù di Michelagnolo e di Giuliano il crederli capaci di consimile, anzi di peggiore trattato?
Fin qui giungono le ragioni, con le quali pretende il Bellori di convincere il Vasari di contraddicente e menzognero, le quali, per quanto è in me, giudico che siano sufficientemente poste in chiaro per false, ed insussistenti. Esaminiamo adesso se vera sia la proposizione del Vasari, per cui si strepita tanto dal Bellori, che maiBattaglio non sonò tanto a martello:
cioè, se sia vero che Raffaello, dopo aver veduta la suddetta cappella, rifacesse in s. Agostino di Roma l'Esaia profeta; e se il dirsi che Raffaello dall'aver vedute l'opere di Michelagnolo migliorò e ingrandì fuor di modo la maniera, e diedele più maestà, sia proposizione all'onore di Raffaello pregiudiciale, come tanto pretende, e procura d'insinuare il Bellori.
Giulio II nel 1507 (giusta quello che ne afferma Carlo Sigonio nel suo Trattato De Episcopis Bononien., alla, pag. 219), se ne ritornò da Bologna a Roma, e dopo il suo ritorno fu chiamato a Roma Michelagnolo, ed ordinatogli dal Papa di dipingere la nota cappella, nella qual opera impiegò qualche anno, sicchè il Papa se n'ebbe ad inquietare; onde dico io, qui non v'è alcuna difficoltà che il Profeta s. Isaia fosse dipinto poco prima del 1512, o poco dopo, e così dopo che fu affatto scoperta la cappella di Michelagnolo; come nè pure trovasi menoma difficoltà in poter credere che Raffaello lo avesse dipinto prima in una maniera non tanto grandiosa, indi il rifacesse in quella grandiosa e risentita maniera che ora si vede.
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