Bologna, li 28 decembre, 1751.
CXVI.
Luigi Can. Crespi a monsignor Gio. Bottari.
Eccomi per la terza volta a ragionarle sopra l'opera del Bellori, Delle Immagini dipinte da Raffaello; onde dopo di averle nella mia prima lettera fatto vedere che il Vasari non si contradice in veruno di que' luoghi citati dal Bellori, e per li quali pretenda di convincerla per contradicente a sè stesso, dopo di averle nella seconda mia lettera provato, contro l'asserzione del medesimo Bellori, di avere benissimo potuto Raffaello seguire il Bonarroti, senza che possa dirsi suo discepolo, non ostante qualunque suo argomento in contrario, vengo adesso per esaminare l'altra proposizione dello stesso Bellori, e che solamente accennai nella mia prima lettera, che è la seguente, cioè:
Che Vincenzo Borghini, Benedetto Varchi, ed Ascanio Condivi nella fila di Michelagnolo, ed altri, che n'empirono le carte (della proposizione cioè, che Raffaello ingrandisse e migliorasse la maniera per aver veduto l'opere di Michelagnolo) costoro, come seguaci del Vasari, senza autorità alcuna.....; per soverchia passione, volessero contrastargli (a Raffaello) il nome d'essere ristauratore della pittura, ed autore della sua gran maniera, studiandosi di torre dal capo di Raffaello gli allori, ed ornarne le tempia a Michelagnolo.
Or io mi sono preso il divertimento, monsignor mio caro, di vedere i nominati scrittori, e qui ne riporterò fedelmente il sentimento, e così da sè stessa a tal paragone potrà apprendere quanto sia insussistente e quanto ridicola la riferita proposizione del nostro Bellori.
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