Quel che noi diciamo della più o meno propria intelligenza del disegno, intendiamo eziandio di tutte 1'altre parti della pittura, perchè è verissimo quel tanto usato proverbio, che non uni dat cuncta Deus. Volendone poi discorrere secondo la pratica, noi sappiamo che nella scuola del gran Raffaello, che tanto di buono in essa inventò e scoperse, stavano moltissimi giovani, ed anche buoni maestri italiani e oltramontani, i quali del continovo copiavano sue opere, e le copie come gioie rarissime eran mandate per tutta l'Europa, fino agli ultimi confini della quale, mediante le medesime, in un subito raggi di nuova luce si sparsero in queste belle arti. Ma, in confermazion del mio detto, io non vo lasciare di portare in questo luogo, e in tal proposito, una mia reflessione fatta più volte ad un alto concetto della divina provvidenza che di tutto ha cura. Appena l'arte del disegno, stata per molti secoli fino ai tempi dei mentovati Cimabue e Giotto, se non morta, almeno malviva, per le mani del soprannominato Masaccio nella pittura, di Donatello nella scultura, e di Filippo Brunelleschi nell'architettura, tutti artefici fiorentini, e coetanei, ebbe dati fuora i primi splendori di quella perfezione, alla quale fra il 1400 e 'l 1460 fra Filippo e Antonio Pollaiolo in Firenze, Gio. Bellini in Venezia, e Pietro in Perugia la collocarono, per dover ella poi giugnere a quel pregiatissimo stato, nel quale la pose l'eccellentissimo Michelagnolo, volle Iddio che avesse principio, pure in figure, il bell'uso e arte dell'intagliare
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